Argilla e amicizia [ovvero le riduzioni del 10%]

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Un virtuoso del cinema, un ciclista professionista, un maestro pianista, un vero poeta, un ballerino che emoziona. In comune hanno l'eccellenza. In comune hanno che ognuno ha imparato perfettamente la tecnica per poterla poi eventualmente usare o non usare, superare o distruggere. Meccanismi e fisica, allenamento e sperimentazione, queste le basi quindi per qualsiasi eccellenza.

Così, uno scultore deve imparare a dominare la materia prima di lasciar libero sfogo alla sua espressione artistica. Quando ho iniziato a modellare l'argilla ho ascoltato i miei polpastrelli affondare nella terra umida, ho lasciato che la pelle si permeasse di quel bagnato e scivoloso, a tratti, o granuloso o duttile. Ho imparato a scaldare la creta, con il calore del mio corpo, o del sole, ad ammorbidirla, a modellarla con la forza delle dita. Ho abituato la mia pelle a sentirsi invasa dalla terra, nelle pieghe, sotto le unghie, senza paura di sporcarmi, senza barriere con la materia. Affondando la mia energia e traendone altrettanta, anzi di più.

Ne ho fatto tesoro, assimilando quella nuova esperienza alle altre della mia vita. La creazione, la modellazione, il trasferimento delle mie visioni all'esterno di me stessa. Una buona amica, la terra.
Ho imparato poi a decidere quando le mani le devo togliere, è necessario un passo indietro, togliersi dal tourbillon dell'euforia creativa, osservare. Ho cominciato a godere della contemplazione di ciò che prima non c'era, una contemplazione non adulante, ne' critica. Una semplice osservazione, carica di insegnamenti per la mia vita. Guardare, lasciarsi entrare negli occhi curve e superfici, sguardi fissi e movimenti immobili.
Come nelle relazioni umane.
Ci sono momenti in cui le vivi intensamente, a pieni polmoni, a vele spiegate. E altri in cui è richiesto la stasi. Allora faccio un passo indietro, mi siedo. Osservo.
La creta a quel punto si comporta inaspettatamente. Mentre sei lì che la guardi, le giri intorno, non la tocchi e la studi, lei non sta ferma, come t'aspetti. Ora dopo ora, come un fiore che consuma la sua acqua, si muove. Impercettibilmente. Cerca un assestamento, le particelle di cui è composta, più dense o meno dense d'acqua, si legano e si avvicinano, i pesi si spostano. L'acqua evapora e piano piano la forma cambia. Dopo qualche giorno, l'espressione della bocca è cambiata, a volte un po più amara, lo sguardo appare più mesto, è come se, dal momento in cui viene "messa al mondo" nella nuova veste della nuova forma, poi si ridimensionasse di fronte all'universo. Tu la guardi e all'improvviso è cambiata. Ridotta di quel famoso 10% che la fisica impone alla creta che si asciuga.

Penso alle relazioni umane. All'amicizia, soprattutto. Quando è il momento in cui ti chiedono di allontanarti, di non saltellare più intorno, ti siedi. Osservi. E piano piano la sostanza dell'amicizia impercettibilmente cambia. Non te ne accorgi, lì per lì, sembrano scherzi della luce, o del momento di stanchezza. Ma in realtà la sostanza è già cambiata un po', si sta assestando in nuova forma, si sta riducendo. E rimane da sperare che si fermi al 10%.



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