Prime pagine da strappare
Ecco che forse stasera mi avvicino a lui che mi aspetta, sotto gli altri tre libri di fianco al letto, da settimane un pò in agguato. Decine di sere gli ho dato un'occhiata di traverso, così per controllare senza essere controllata e certe volte confesso che senza dare nell'occhio con nonchalance ce ne ho aggiunti sopra altri due, così, buttati lì quasi per caso come se solo li appoggiassi un momento. E invece li lasciavo là.
Lui fa il mio stesso gioco, maledetto. L'indifferente. Oh, non si muove di un millimetro, regge gli affronti come se non lo sfiorasse il peso che gli metto sopra. É una specie di braccio di carta, chi è il più forte vince. Passano le sere e noi ci studiamo, io cincischiando svogliatamente qualche pagina di racconti, un saggio sull'adolescenza, addirittura un giallo che sta lì da quasi un anno sforzandosi di farsi bello e avvincente (ma dico un giallo che si sforza di avvincerti, che giallo è? un giallo chiaro, è chiaro).
Lui invece con un aplombe invidiabile non fa una piega nè un'orecchia, non muove una pagina che sia una, neanche la copertina si scompone, anzi, la lascia là, un pò esposta, come la caviglia di una donna sotto al tavolo che sporge un pò. E invoglia. E chiama. Anche se è solo un caviglia.
Stasera inaspettatamente tolgo il primo della torre, lo guardo appena e lo sposto a fianco. Mi fingo interessata al secondo, lo prendo in mano, guardo fino a dove ero arrivata, un romanzetto insulso, pregiato solo per la copertina. E lo appoggio di lato, sopra al primo. Mi soffermo sul terzo, questo è grosso, impegnativo, lo odio perchè non lo finirò mai e mi è costato una figuraccia di anni fa che ancora non dimentico. Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita. Non ce la farò mai a finirlo. Lo so. Lo accetto e mesta lo appoggio sulla torretta che si sta formando sulla destra.
Un piccolo libretto di poesia, semplice e bianco, mi porta un sorriso volante, non lo apro neanche, l'ho letto tante di quelle volte che la costa delle pagine è tutta giallognola. Ci sono lacrime e sogni, lì dentro, del poeta e miei, mescolati. Lo metto a destra, con rispetto.
Ed eccolo. Nudo, leggero, finalmente libero. L'immagine in copertina non me la ricordavo neanche. Una specie di cavalino stilizzato che salta in una specie di circo, e sotto invece del pubblico ci sono dei bambini antichi chiusi in cornici di francobolli. Forse è arrivata ora di conoscerci mi dico. Lo sollevo piano, sembra nuovo, sembra sorridere. Tre centimetri e mezzo di spessore, color caco maturo, della biblioteca adelphi 456. Goffredo Parise, Sillabari. Si, mi sto convincendo, nelle mani è solido e pieno, mi piace. Ci sono. Apro la prima pagina, con un piccolo sospiro che è una piccola resa.
E lì, improvvisamente, con una stilografica nera, giustificato a destra, uno scritto!
No! una dedica a tradimento no!
Anche una data.
Lui fa il mio stesso gioco, maledetto. L'indifferente. Oh, non si muove di un millimetro, regge gli affronti come se non lo sfiorasse il peso che gli metto sopra. É una specie di braccio di carta, chi è il più forte vince. Passano le sere e noi ci studiamo, io cincischiando svogliatamente qualche pagina di racconti, un saggio sull'adolescenza, addirittura un giallo che sta lì da quasi un anno sforzandosi di farsi bello e avvincente (ma dico un giallo che si sforza di avvincerti, che giallo è? un giallo chiaro, è chiaro).
Lui invece con un aplombe invidiabile non fa una piega nè un'orecchia, non muove una pagina che sia una, neanche la copertina si scompone, anzi, la lascia là, un pò esposta, come la caviglia di una donna sotto al tavolo che sporge un pò. E invoglia. E chiama. Anche se è solo un caviglia.
Stasera inaspettatamente tolgo il primo della torre, lo guardo appena e lo sposto a fianco. Mi fingo interessata al secondo, lo prendo in mano, guardo fino a dove ero arrivata, un romanzetto insulso, pregiato solo per la copertina. E lo appoggio di lato, sopra al primo. Mi soffermo sul terzo, questo è grosso, impegnativo, lo odio perchè non lo finirò mai e mi è costato una figuraccia di anni fa che ancora non dimentico. Michail Bulgakov, Il Maestro e Margherita. Non ce la farò mai a finirlo. Lo so. Lo accetto e mesta lo appoggio sulla torretta che si sta formando sulla destra.
Un piccolo libretto di poesia, semplice e bianco, mi porta un sorriso volante, non lo apro neanche, l'ho letto tante di quelle volte che la costa delle pagine è tutta giallognola. Ci sono lacrime e sogni, lì dentro, del poeta e miei, mescolati. Lo metto a destra, con rispetto.
Ed eccolo. Nudo, leggero, finalmente libero. L'immagine in copertina non me la ricordavo neanche. Una specie di cavalino stilizzato che salta in una specie di circo, e sotto invece del pubblico ci sono dei bambini antichi chiusi in cornici di francobolli. Forse è arrivata ora di conoscerci mi dico. Lo sollevo piano, sembra nuovo, sembra sorridere. Tre centimetri e mezzo di spessore, color caco maturo, della biblioteca adelphi 456. Goffredo Parise, Sillabari. Si, mi sto convincendo, nelle mani è solido e pieno, mi piace. Ci sono. Apro la prima pagina, con un piccolo sospiro che è una piccola resa.
E lì, improvvisamente, con una stilografica nera, giustificato a destra, uno scritto!
No! una dedica a tradimento no!
Anche una data.
Natale 06.
Questo è un libro "strano", nel senso che nella sua essenzialità non finisce mai di essere affascinante. Per me è importante regalartelo, un piccolo vero pezzetto di me.
Addio, Sillabari.
Breve lancio contro l'armadio.
Spengo la luce.
Regalare un libro è un comodo ripiego, per fronteggiare obblighi indesiderati, inaspettate evenienze. Basta entrare in libreria e lasciarsi rapire da una copertina carina, un titolo accattivante. Facile, no? E via, anche stavolta l'abbiamo svangata. Basta evitare i classici. Meglio un manuale di sopravvivenza per neofiti del sexy-shop, o un manualetto per creare simatiche figure. Di pasta. Di sale. Meglio. Ma altre volte, altre, volte, regalare un libro è così difficile. Perchè con il libro si vorrebbe regalare un'emozione. O condividere quella che abbiamo sperimentato leggendolo per primi. E' decisamente un bel gesto. C'è un pensiero dietro. Per questo sapere che un romanzetto insulso giace sul tuo comodino, fa dispiacere. Fa dispiacere che faccia la fine della fettina di cetriolo nel King Burger che si compra ai bambini. Sì, certo, libruncoli insulsi ce n'è eccome, si sà. Per l'autore del libro non è un bel successo, ma ci sta di non accontentare tutti, puntando ad un target ampio. Il vero fallimento lo compie chi il libro l'ha regalato. Che pensava di sapere. Che il suo target era un'anima sola. Presta quel libro, quello con le foglie marroni, rosse autunnali vicino alla costola. Prestalo ad un'amica vera e sincera fra quelle vere e sincere che hai. Chi te l'ha regalato forse non lo merita. Il libro invece. Invece sì.
RispondiEliminaE vvaiiii ti ho scoperto, so chi sei.
RispondiEliminaMeno male sei tu:)
ps. il libro che mi hai regalato tu è importante, non è da lanciare contro l'armadio.