Notturna
Guido piano perchè sono molto stanca e quando è così le mie lenti a contatto di notte mi fanno vedere le stelline, quando guardo le luci di un'auto che si avvicina in senso opposto al mio. Del resto la strada per arrivare a casa è talmente conosciuta che potrei quasi guidare con gli occhi chiusi. Non c'è un anima, alle 3 di notte. E' quel momento della notte in cui stanno finendo i giri dei tiratardi e non sono ancora iniziati i giri di chi si alza per andare a lavorare. Mi sento senza casa e senza nessun legame, adesso. Sarà la notte che allunga il tempo e le rende irreale, o saranno le bastonate che prendo su cuore. Non importa, guido piano, in sintonia con questo tempo, curvo lentamente, al caldo della mia piccola automobile senza pretese e della musica di Feist che mi trasporta. In luoghi allegri, spensierati, giocosi, senza nessuno che fugge da me o dal quale fuggire. L'ultimo tratto di strada che mi separa da casa mia inizia con una curva a gomito, proprio prima della salita. É girando le mani sul volante che nella tasca del trench tintinnano delle chiavi, ricordandomi dove sono. Le chiavi, certo. Me le ha lasciate lui qualche settimana fa, in quel bar della galleria. Mi parlava degli amici di cui si fida, quando è lontano da casa, che vanno a dare da bere alle piante, a controllare che non ci siano infiltrazioni dagli abbaini, i soliti malanni delle case che vivono da sole.
Ti fidi anche di me? gli avevo chiesto. E lui, senza rispondere, aveva rovistato nello zaino e tirando fuori due chiavette legate da un anello di gomma blu, me le aveva infilate nella scollatura. Così impari a non coprirti meglio. Mi aveva detto sorridendo.
Ora, nella curva a gomito, quelle chiavette suonavano nella notte. din din.
Prendere la prima a sinistra invece che andare su dritta è un attimo, irrazionale e rapido come un pensiero. Senza farmi domande cambio direzione e tra gli incroci deserti sotto le luci arancioni, vado verso casa sua. Sotto al suo portone un parcheggio vuoto sembra una scena troppo prevedibile di un film americano. Non devo neanche ragionare, che il motore è già spento. Scendo e il silenzio sibilante del vento che mi frusta le caviglie mi fa invece rendere conto di cosa sto facendo. Tre e mezza del mattino. Nessuno che mi aspetta a casa, nessuno che si chiede dove sono. Infilo la prima chiave nel portone di legno pesante ed entro nella corte.
Le azioni improvvisate e un pò proibite, eccitano tutti, non neghiamolo. Mi sento un attrice di un film mai visto, il leggero ticchettìo delle mie scarpe sulle grandi pietre che portano alla scala, potrebbero annunciarmi. Ma è notte, sembra che in questo palazzo d'epoca, dormano davvero tutti. Non accendo la luce sulle scale e decido di salire, mano sul corrimano, piano e senza fretta. Mi gusto sorridendo questa follia. Ultimo piano, angusto corridoio e in fondo la porta di casa sua. L'ultima separazione tra me, furtiva, e lui dormiente. Faccio molta attenzione affinchè le chiavi non tintinnino, nè il trench frusci troppo. Lentissimamente infilo la chiave, un dentino alla volta, contenendo con l'altra mano la possibile vibrazione del legno. Impugno forte e, piano, giro. Una fessura di nero mi apre l'appartamento silenzioso, solo il ronzio del frigorifero segnala che è abitato. Conoscendo il suo disordine devo stare attenta anche a dove metto i piedi, così, ferma lì in mezzo, una alla volta mi sfilo le scarpe e le appoggio davanti alla porta.
Vado avanti, verso la camera, mi sento una ladra di sogni, la parte di me per bene mi frena, la parte di me audace, mi sospinge fino al bordo del suo letto.
Respira piano lui, abbandonato con la schiena appoggiata e la testa un pò riversa all'indietro. Il suo odore dolce di aria aperta si sente fino qua, quasi mi dispiace infilarmi in questo silenzio, quasi faccio per andarmene, ma... resto.
...
Ti fidi anche di me? gli avevo chiesto. E lui, senza rispondere, aveva rovistato nello zaino e tirando fuori due chiavette legate da un anello di gomma blu, me le aveva infilate nella scollatura. Così impari a non coprirti meglio. Mi aveva detto sorridendo.
Ora, nella curva a gomito, quelle chiavette suonavano nella notte. din din.
Prendere la prima a sinistra invece che andare su dritta è un attimo, irrazionale e rapido come un pensiero. Senza farmi domande cambio direzione e tra gli incroci deserti sotto le luci arancioni, vado verso casa sua. Sotto al suo portone un parcheggio vuoto sembra una scena troppo prevedibile di un film americano. Non devo neanche ragionare, che il motore è già spento. Scendo e il silenzio sibilante del vento che mi frusta le caviglie mi fa invece rendere conto di cosa sto facendo. Tre e mezza del mattino. Nessuno che mi aspetta a casa, nessuno che si chiede dove sono. Infilo la prima chiave nel portone di legno pesante ed entro nella corte.
Le azioni improvvisate e un pò proibite, eccitano tutti, non neghiamolo. Mi sento un attrice di un film mai visto, il leggero ticchettìo delle mie scarpe sulle grandi pietre che portano alla scala, potrebbero annunciarmi. Ma è notte, sembra che in questo palazzo d'epoca, dormano davvero tutti. Non accendo la luce sulle scale e decido di salire, mano sul corrimano, piano e senza fretta. Mi gusto sorridendo questa follia. Ultimo piano, angusto corridoio e in fondo la porta di casa sua. L'ultima separazione tra me, furtiva, e lui dormiente. Faccio molta attenzione affinchè le chiavi non tintinnino, nè il trench frusci troppo. Lentissimamente infilo la chiave, un dentino alla volta, contenendo con l'altra mano la possibile vibrazione del legno. Impugno forte e, piano, giro. Una fessura di nero mi apre l'appartamento silenzioso, solo il ronzio del frigorifero segnala che è abitato. Conoscendo il suo disordine devo stare attenta anche a dove metto i piedi, così, ferma lì in mezzo, una alla volta mi sfilo le scarpe e le appoggio davanti alla porta.
Vado avanti, verso la camera, mi sento una ladra di sogni, la parte di me per bene mi frena, la parte di me audace, mi sospinge fino al bordo del suo letto.
Respira piano lui, abbandonato con la schiena appoggiata e la testa un pò riversa all'indietro. Il suo odore dolce di aria aperta si sente fino qua, quasi mi dispiace infilarmi in questo silenzio, quasi faccio per andarmene, ma... resto.
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