Trieste, equilibro tra anima e tempo



Quando vagheggio con i pensieri liberi, di contorno al primo caffè del giorno e Trieste mi si offre come orizzonte, mi accorgo che questa città è realmente in un angolo, lontana da centri di vero fermento lavorativo, come un pensiero a parte, più lento. Un porto bislacco che parte e non parte mai, un ricordo collettivo multistrato, dove a momenti il rumore delle strade ancora diventa silenzio, e si sentono ancora cani e campane in lontananza. Vista dall’alto Trieste si fa guardare e ti guarda, sventolando i suoi grigi azzurri e le moto che accelerano in salita.  Trieste è “provincia geografica”, perché è messa lì, in quell’angolo di Adriatico. 

Ma se con i pensieri volo altrove, nei grandi centri del nord ovest dove brulicano continui progetti e art week, meeting internazionali di nuovo business e ingorghi stradali di colletti bianchi, roof garden e ape/hub/development, e provo ad immergermi nell’immaginazione e nella memoria, il mio orizzonte mentale misteriosamente si abbassa, invece di aprire la mente come potevo forse immaginare la concentra su tavoli o slide, su monitor e orologi che non hanno più tempo e finestre, come se lo sguardo riducesse il suo spettro invece che ampliarlo, concentrato sul singolo fondamentale ultimo report.

Rifletto, nulla più. E quando ritorno con lo sguardo sulla striscia frastagliata di mare nostro, ritorna la consapevolezza che Trieste più che una città è un modo di essere, potenziale e filosofico, che con il suo scarso impegno lavorativo e il suo abbondante tempo libero rimette in equilibrio l’anima e il tempo, dandogli aria che scorre e umana prospettiva. 

La provincia dell’anima è invece laggiù, altrove nell'ingranaggio, dove le prospettive del pensiero libero di vagare e gli orizzonti si riducono, non c’è il mare che si congiunge a tutti gli altri mari, e gli tramonti sono tutti incastrati tra le case.


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